La Sindrome da Alimentazione Notturna è stata per la prima volta descritta da Albert Stunkard e definita come: un disturbo caratterizzato da anoressia mattutina con tendenza a saltare la colazione, scarso appetito durante il giorno, iperfagia serale ed insonnia.
Cos’è la Sindrome da Alimentazione Notturna o Night Eating Syndrome?
La Sindrome da Alimentazione Notturna (in inglese, Night Eating Syndrome – NES –) è stata per la prima volta descritta da Albert Stunkard nel 1955 e definita come: un disturbo caratterizzato da anoressia mattutina con tendenza a saltare la colazione, scarso appetito durante il giorno, iperfagia serale ed insonnia.
La Sindrome da Alimentazione Notturna è un disturbo abbastanza diffuso: si stima una prevalenza dell’1,1-1,5% nella popolazione generale e del 6-16% nei soggetti obesi (Ceru-Bjork, Andersson, Rossner, 2001; Stunkard, Berkowitz, Wadden, Tanrikut, Reiss, Young, 1996).
Solo di recente, tuttavia, la Sindrome da Alimentazione Notturna è stata riconosciuta come disturbo autonomo ed inserita nel manuale diagnostico in uso, il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders V edition (APA, 2014). La sindrome viene fatta rientrare all’interno della macrocategoria dei Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione.
I criteri diagnostici proposti sono i seguenti:
Ricorrenti episodi di alimentazione notturna che si manifestano mangiando dopo i risvegli dal sonno oppure con l’eccessivo consumo di cibo dopo il pasto serale.
Consapevolezza e ricordo di aver mangiato.
Il comportamento non è conseguenza di influenze esterne come la modificazione del ciclo sonno-veglia dell’individuo oppure da norme sociali.
La persona prova un significativo disagio e/o il suo funzionamento è compromesso .
Questa modalità di alimentazione disordinata non è spiegata dal disturbo da binge eating (alimentazione incontrollata) o da altri disturbi, compreso il disturbo da uso di sostanze e non è attribuibile ad un altro disturbo medico o all’effetto di farmaci.
La sindrome da alimentazione notturna si configura, quindi, come un disturbo caratterizzato da frequenti episodi di risveglio notturno durante i quali la persona tende a ricorrere a spuntini, generalmente carboidrati, nella convinzione di non riuscire a riprendere sonno qualora non assuma del cibo. Si stima che coloro i quali ne soffrono tendano ad assumere circa il 25% del fabbisogno calorico giornaliero dopo cena o durante i risvegli notturni (0’Reardon, Ringel, Dinges, 2004).
A quali disturbi si accompagna?
Sulla base di una review pubblicata nel 2015 da Kucukgoncu, Midura e Tek, la sindrome da alimentazione notturna si presenta frequentemente associata ad altri disturbi psichiatrici, in particolare disturbi alimentari (DA) come il Binge Eating Disorder (BED) o la Bulimia Nervosa (BN). È stata, infatti, stimata una prevalenza della night eating syndrome, fra coloro i quali soffrono di altri disturbi alimentari, che oscilla fra il 5 e il 44% (Stunkard et al., 1996).
La Sindrome da Alimentazione Notturna si differenzia, tuttavia, dagli altri DA sulla base dello specifico pattern alimentare, dalla quantità di calorie assunte durante il giorno e quelle, per contro, assunte durante la notte, dall’assenza di comportamenti compensatori e dalla compromissione del sonno. Nei BED i risvegli notturni con assunzione di cibo possono talvolta essere presenti ma non sono così distintivi e frequenti come nella sindrome da alimentazione notturna . Inoltre, nel BED la quantità di cibo assunta durante le abbuffate è maggiore rispetto a quella assunta durante gli episodi della night eating syndrome (Allison, 2011).
Ricerche condotte su pazienti affetti da Sindrome da Alimentazione Notturna hanno, inoltre, riscontrato un’alta comorbidità con altre psicopatologie, in particolare la depressione ma anche disturbi d’ansia ed abuso di sostanze (Lundgren, Allison, 0’ Reardon, Stunkard, 2008).
In aggiunta, insonnia e disturbi del sonno possono precedere tale sindrome. D’altra parte la Sindrome da Alimentazione Notturna può essere, essa stessa, causa o trigger di difficoltà del sonno. La letteratura presente sull’argomento ha, infatti, evidenziato la frequente presenza, in coloro che ne soffrono, di difficoltà nel prendere sonno o nel mantenerlo associata ad una bassa efficacia e qualità del sonno stesso (Kucukgoncu, Tek, Bestepe, Musket, Guloksuz, 2014; Rogers, Dinges, Allison, 2006).
La Sindrome da Alimentazione Notturna si configura, infine, quale possibile fattore di rischio per l’obesità, il diabete mellito ed altri disturbi metabolici ed endocrini.
Sindrome da Alimentazione Notturna: a quale trattamento ricorrere?
Dal punto di vista farmacologico, una buona efficacia nella riduzione dei sintomi della Sindrome da Alimentazione Notturna è stata ottenuta mediante il ricorso agli SSRIs ovvero agli inibitori selettivi del reuptake della serotonina. Il sistema serotoninergico é, infatti, coinvolto nella regolazione dell’appetito, dell’assunzione di cibo e dei ritmi circadiani. È stato pertanto ipotizzato che tale sistema possa giocare un ruolo nella psicopatologia della night eating syndrome (0’ Reardon, Stunkard, Allison, 2004; Stunkard, Allison, Lundgren, 2006; Allison, Ahima, O’Reardon, 2005).
Dal punto di vista psicoterapeutico, la CBT si è dimostrata efficace nel trattamento di molti disturbi psichiatrici, inclusa la depressione, i disturbi alimentari e l’insonnia, ingredienti della Sindrome da Alimentazione Notturna.
La CBT per la Sindrome da Alimentazione Notturna combina interventi comportamentali con tecniche cognitive standard ed elementi della CBT per il trattamento dell’insonnia (CBT-I).
Nel 2012, Allison, Lundgren e Stunkard hanno proposto un protocollo specifico per il trattamento della night eating syndrome, riadattando quello già presente per il trattamento del Binge Eating Disorder e per la perdita di peso. Esso si articola in tre fasi (Berner, Allison, 2013):
La prima fase prevede la costruzione di una buona alleanza terapeutica, il ricorso ad un intervento psicoeducazionale sulla Sindrome da Alimentazione Incontrollata e l’impostazione dell’automonitoraggio, da effettuare a casa, dei comportamenti alimentari problematici. Tale monitoraggio include anche le caratteristiche sonno: orario in cui si va a letto e in cui ci si addormenta, tempo e durata dei risvegli notturni, orario del risveglio mattutino. Per ogni episodio specifico che il paziente porta in terapia viene quindi condotta un’accurata chain analyses finalizzata ad identificare i target cognitivi e comportamentali dell’intervento terapeutico.
Parallelamente è possibile avvalersi di ausili prettamente comportamentali finalizzati al raggiungimento di un maggiore controllo dei comportamenti problematici: ad esempio, il ricorso a post-it da collocare sul frigo, in bagno o sulle porte e finalizzati a ricordare alla persona le intenzioni formulate durante la giornata; la collocazione di “ostacoli” lungo il percorso che dal letto conduce alla cucina; la rimozione del cibo dalla vista o il suo inserimento in un armadietto e così via. Viene, inoltre, impostato l’obiettivo di controllare il peso.
Nella seconda fase del trattamento, il clinico ed il paziente collaborano per l’identificazione dei patterns tematici che saranno target dell’intervento. Viene quindi effettuato un intervento di disputing sulle credenze disfunzionali precedentemente identificate e ci si avvale di esperimenti comportamentali di controllo dello stimolo. Ancora, viene impostato un programma alimentare strutturato: vengono strutturati i pasti principali e gli spuntini da effettuare durante la giornata e regolarizzati gli orari.
Se la persona affetta da sindrome da alimentazione notturna soffre anche di depressione o disturbi d’ansia, questi vengono trattati in questa fase centrale del trattamento. In aggiunta, vengono introdotti eventuali programmi di rilassamento muscolare progressivo o di respirazione profonda diaframmatica. Viene, in parallelo, migliorata l’igiene del sonno e aggiunta l’attività fisica.
Nella terza ed ultima fase, viene fatto il punto del lavoro svolto insieme con focus sui progressi raggiunti e sull’incremento del senso di auto-efficacia. Inoltre, obiettivo centrale di questa fase diviene la prevenzione delle ricadute.
Sono state proposte, inoltre, delle strategie di auto-aiuto a cui la persona può ricorrere in autonomia. A tale proposito Riccardo Dalle Grave (2004) propone alcuni utilissimi punti riassuntivi:
- Strutturare i pasti durante il giorno: pianificare un’alimentazione che preveda una colazione, un pranzo, una merenda e una cena regolari, in modo tale da assumere più calorie nella prima parte della giornata. È fondamentale anche eliminare il caffè e le bevande contenenti caffeina e non assumere alcolici prima di andare a dormire, dal momento che tutte queste sostanze possono disturbare il sonno.
- Cercare di non avere delle giornate troppo stressanti: lo stress sembra essere uno dei più importanti fattori implicati nell’alimentazione notturna. Una buona strategia per ridurre lo stress è quella di adottare uno stile di vita attivo. Può essere utile imparare qualche esercizio di rilassamento.
- Migliorare l’igiene del sonno: cercare di rilassarsi prima di andare a dormire, fare degli esercizi di rilassamento, di stretching o leggere un buon libro. Cercare di non lavorare la sera dopo cena. Non usare il computer (che può aumentare la tensione). Non andare a letto fino a che non ci si senta sonnolenti.
- Non sforzarsi troppo per addormentarsi: Cercare di avere delle aspettative realistiche sul sonno: accettare di avere due o tre risvegli per notte, non dare troppa importanza al sonno e non drammatizzare se durante la notte non si è dormito a sufficienza. Imparare a tollerare gli effetti di un sonno disturbato.
- Ridurre gli stimoli alimentari che favoriscono l’alimentazione notturna: per esempio non tenere in casa cibi ipercalorici e ricchi di grassi.
- Ridurre gli stimoli non alimentari che favoriscono l’alimentazione notturna: la noia, gli intrattenimenti passivi (es. guardare la televisione). Piuttosto, programmare delle serate in compagnia o con intrattenimenti attivi (leggere un libro, andare al cinema, chiacchierare con la famiglia, ecc).
Gestire il rischio
identificare il rischio, cercare la risoluzione dei problemi.
Ristrutturare i pensieri disfunzionali che favoriscono l’alimentazione notturna.
Il trattamento CBT per la sindrome da alimentazione notturna ha indubbiamente dei vantaggi ma presenta anche dei limiti. Gli studi di efficacia disponibili dimostrano una riduzione del ricorso al cibo durante i risvegli notturni, ma non dopo cena, nelle ore serali (Allison, 2012). Nonostante ciò, si è riscontrato, inoltre, un miglioramento dei sintomi depressivi e, quando presente, una riduzione degli effetti della comorbidità psichiatrica. È necessario condurre ulteriori studi futuri al fine di confrontare l’efficacia della CBT con altri trattamenti e strategie.
Fonte: www.stateofmind.it