Mamma: “Com’è andata oggi a scuola, tesoro?”
Figlia: “Come sempre, Angelica ha pianto tutto il tempo e poi quando non piangeva rubava i pennarelli e spostava le sedie urlando agli altri bambini. Quando la maestra la rimproverava, si buttava a terra piangendo ancora. Però tutto bene mamma!”
A chi non è capitato di sentire frasi del genere dai propri figli o nipotini o amici?
Sempre più spesso nelle scuole gli insegnanti incontrano delle difficoltà nel gestire certe classi nelle quali ci sono bambini che vengono etichettati come “bambini difficili”. Spesso vengono richieste delle valutazioni psicologiche da parte della scuola, oppure in altri rari casi vengono proposti dei laboratori di Alfabetizzazione Emotiva condotti da personale qualificato. Proprio perché gestire un’intera classe di bambini delle elementari dove c’è anche solo un bimbo che manifesta un disagio in modo dirompente, non è di certo compito facile!
Proprio così, i bambini cosiddetti “difficili” in quel momento stanno esprimendo un malessere, stanno dando voce, anche se nel modo più fastidioso ed ingestibile per un adulto, al proprio bisogno, alle proprie emozioni.
I bambini sono creature molto complesse, dentro di loro c’è un mondo talvolta incomprensibile per l’adulto. I bambini anche se sono piccoli, comprendono che c’è qualcosa che non va, ma non attribuiscono mai la colpa al mondo esterno o ai genitori; piuttosto si fanno carico di tutta la colpa, pensando di essere cattivi, di aver fatto qualcosa di sbagliato, di non essere abbastanza buoni o belli. Nonostante ciò, hanno una grande spinta alla sopravvivenza, troveranno sempre una modalità per farcela, per sopravvivere. Quindi, troveranno quel comportamento che li proteggerà, si perché i bimbi si auto-proteggono: alcuni potranno rifugiarsi in un mondo di fantasia per vivere una vita più facile, altri potranno chiudersi in se stessi e non parlare più, altri possono trovare un modo per essere visti e quindi emergere attraverso atteggiamenti che attirano molto l’attenzione. Non c’è limite alla loro fantasia.
Il compito di noi terapeuti è quello di far riacquistare al bambino la consapevolezza del proprio sé, ritrovare quel qualcosa che nel neonato esisteva e che è andato perduto. Risvegliare i sensi, riconoscersi nel proprio corpo ed averne consapevolezza potrà aiutarlo ad accettare ed esprimere le proprie emozioni. Talvolta i bambini hanno così paura di esprimere le emozioni per il timore che siano troppo forti da poter distruggere qualcosa o qualcuno oppure troppo dolorose per essere sopportate dalla mamma.
I bambini classificati come più bisognosi di aiuto hanno più difficoltà ad entrare in relazione con gli altri, c’è un indebolimento di quelle funzioni che di solito utilizziamo per entrare in contatto, come lo sguardo, il toccare, il muoversi, l’ascoltare, il parlare. A tal proposito non dimenticherò mai l’emozione provata durante un episodio con un bambino: conducevo un gruppo sulle emozioni in una seconda elementare, quando noto che Federico e Marco stavano bisticciando; Marco piangeva perché Federico lo aveva preso e stretto così forte da fargli male, chiedo a Federico cosa fosse successo e lui con un’espressione sul volto mista tra tristezza e rabbia per non essere compreso mi rispose “sono così felice, ma così tanto che l’ho solo abbracciato!”
Federico voleva abbracciare Marco per esprimere la sua gioia in quel momento di gruppo, ma la sua funzione di contatto, in questo caso il toccare, e la poca consapevolezza del proprio corpo, ha fatto sì che l’abbraccio fosse una presa dolorosa per l’altro bimbo che non riusciva più a muoversi, senza quindi poter ricambiare l’abbraccio. Si perpetua in tal modo il rifiuto da parte dell’altro che continua a generare in Federico quel comportamento irruento per avere attenzione ed accettazione.
Lavorare con i bambini per permettergli di raggiungere una maggiore consapevolezza di sé ed un migliore contatto con l’altro è meraviglioso: serve creatività e lasciar emergere il bambino espressivo che è in noi! Il bambino con il gioco e con il disegno ci fa entrare nel suo mondo, ma solo se ci considererà all’altezza e se si sentirà abbastanza sicuro da poterlo fare.
E’ attraverso l’esperienza che il bambino raggiunge la consapevolezza.
Per ritornare all’esempio precedente, si potrebbe fare un lavoro attraverso l’esperienza di un abbraccio più avvolgente e meno stretto con un amico e chiedere come ci si sente in questo nuovo modo di abbracciare. Attraverso i disegni si può far raccontare al bambino cosa ha disegnato, possiamo tentare di far fare un dialogo in prima persona di quel preciso disegno, possiamo far dare un titolo a quel disegno e per attivare la consapevolezza potremmo anche chiedere quanto si adatta alla sua vita, oppure se talvolta si sente come quel pesciolino che ha disegnato…
Se il bambino sente che noi siamo con lui, che non lo giudichiamo, che accogliamo le sue emozioni, il bambino si sentirà sicuro e ci permetterà di entrare nel suo mondo.
Vi lascio con un breve dialogo con delle bambine della scuola dove ho condotto un percorso sulle emozioni:
Sara: “E tu chi sei?”
Io: “Mi chiamo Daniela”
Sara: “Sei la maestra di Arte?”
Io: “No…”
Sara: “Sei la maestra di teatro?”
Io: “No..”
Maya (una bambina che già aveva fatto un laboratorio con me) risponde: “No, Daniela è la maestra delle emozioni!”
Dott.ssa Daniela Maggiorano
Psicologa Psicoterapeuta della Gestalt